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La collezione Spagna-Bellora

Orbetello Piano Festival 2020, Torre Saline 

L’artista Anna Spagna e l’inquinamento ambientale

Percorsi luminosi n. 6, cm 220 x 120, tecnica mista, 1990
Carlo Franza Marzo 1991.jpg
Maria Tiziana Zanchi, L'angolo dell'ispirazione, CASA OGGI, Maggio-Giugno 1991

RECENSIONI

Professore Carmelo Strano per Fyinpaper.com, Anna Spagna, sicilianitudine e poesia, 19/10/2021
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Anna spagna in Almach Art Gallery, 2020

L’Almach Art Gallery (Via Gaudenzio Ferrari- Milano) è una  delle gallerie di riferimento del recente lavoro di Anna Spagna, artista italiana singolare, che fin dagli anni Ottanta del Novecento ha saputo muoversi nell’arte contemporanea con vivace creatività e poliedrica  visione del formarsi dell’arte quotidiana,    misurandosi poi sulla storia delle arti visive alla luce di capitoli fortemente innovativi quali l’attenzione al nouveau- realisme, alla pop-art  italiana  e alla poesia visiva. Affermo subito che il lavoro di Anna Spagna l’ho seguito fin dagli inizi, insieme a Tommaso Trini, nello studio che l’artista aveva in Via Maroncelli a Milano. E più volte ne ho scritto sul Il Giornale con articoli che hanno incorniciato il suo lavoro iniziale quasi fosse un recupero del superfluo e del caduco, ovvero di quel materiale che dopo l’uso  la massa, ovvero il popolo del benessere,   accontona o getta. Lo fu allora con i sacchi della spazzatura o della spesa, e non solo, lo è ancora oggi con i  catarifrangenti alla luce dell’invito ad  usare meno automobili e più bici, per via di tutta la disamina sull’’ambiente.  E’ pur vero che nel  lungo periodo di quarantena vissuto in Italia nella primavera del 2020, dovuto alla pandemia mondiale di Covid-19, Anna Spagna ha colto l’opportunità  di accendere un nuovo capitolo della sua  ricerca artistica, ovvero tutta  una serie di opere inedite, esposte presso l’Almach Art Gallery  con la  mostra “Rifrazioni plastiche” a cura di Luca Temolo Dall’Igna, animatore illuminato dell’arte contemporanea. In questa scelta mirata che si coglie nella mostra in corso a Milano fino al 31 ottobre 2020, vivono opere di sorprendente visualità che attingono anzitutto dalle sperimentazioni artistiche e letterarie del movimento della poesia visiva e visuale, attive  soprattutto negli anni ‘60 nel clima delle Nuove Avanguardie. Anna Spagna ebbe modo di conoscere tutto il sistema e i membri che nelle avanguardie gravitavano attorno ai new-media, e ai transiti tra parola e immagini; e  non solo i promotori del gruppo  che si muoveva a Firenze -e non solo- con  Eugenio Miccini, Luciano Ori  e soprattutto l’artista Lamberto Pignotti. Anna Spagna ebbe modo di vivere tutto ciò attraverso il marito, quel nobile gallerista e intellettuale  che è stato Gianfranco Bellora -amico mio come pochi- , che tra gli anni ‘70 e ‘80 sostenne le ricerche verbovisuali di molti artisti italiani con l’attività prima dello Studio Santandrea e  poi del Centro Culturale d’Arte Bellora o Studio Bellora a Milano in Via Borgonuovo. Ho subito il ricordo che quando Bellora decise di chiudere la galleria di Via Borgonuovo, per l’ultima mostra dello spazio che fu di Giorgio Milani, desiderò che fosse mia la presentazione in catalogo. Un gesto che mi fece capire quanto apprezzasse la mia preparazione e la mia appartenenza alla Scuola di Giulio Carlo Argan, mio maestro e mio mentore.

Entriamo nel clima aristocratico della mostra, sulle bianche pareti  spiccano preziose teche dove l’artista ha raccolti accartocciati sacchi -diversamente da Burri- e buste della spesa con serigrafate scritte pubblicitarie.  Badate bene che questi lavori di Anna Spagna sono andati oltre il pensiero di Mario Schifano che si attivò sulla Pop Art Italiana con le scritte tipo “Esso”, “mare”, “Coca Cola”; Anna  Spagna diversamente che dalle scritte pubblicitarie messe in evidenza pittoricamente, ha nelle teche veicolato queste “reliquie” del quotidiano, del vissuto.  Preziose testimonianze del contemporaneo, sulle quali noi storici universitari dovremmo in futuro scrivere intere pagine. Un capitolo che già in quegli anni Ottanta e ancor più oggi trovo sensazionali perché segmentano la storia dei nostri tempi. E pensate che proprio negli anni Ottanta  quando si parlava della “liberazione delle donne” e della “parità uomo-donna”    l’immagine femminile entrava nell’arte di Anna Spagna anche attraverso certi sex symbol  come l’immagine della diva del cinema hollywoodiano; stupende le teche con   “Donna in nero” e “Donna in bianco”, realizzate nel 1989. Il capitolo nuovo e sperimentale  oggi pure in mostra con una serie di opere denominate   “Catarifrangenti”, cui l’artista si è dedicata poco prima dell’inizio della quarantena in Italia, non è una ricerca a sé ma vive quel linguaggio del Nouveau Rèalisme, ovvero quel linguaggio aperto da illustrissimi nomi come Arman l’artista delle “accumulazioni” e Daniel Spoerri  autore della “Eat-Art” ovvero arte commestibile. Questi oggetti, estratti da bici in disuso, tra luci, bagliori e riflessi, occupano il punto di fuga principale delle tele, dal quale si dipartono e nel quale convergono tutte le linee prospettiche immaginarie.

La mostra di Anna Spagna poggia tutta sulla storia, sul quotidiano e sulla contemporaneità, tre momenti e tre finestre che certificano a pieno titolo l’arte come bisogno esistenziale e diario insostituibile per ogni persona.

Carlo Franza

La collezione Spagna-Bellora
Orbetello Piano Festival 2020, Torre Saline 

Articolo scritto dal Prof. Carlo Franza, Blog. il Giornale, 02/08/2020

Articolo scritto dal Prof. Carmelo Strano, Fyinpaper.com, 22/08/2020

Pianeta Salute, 2018

L’artista Anna Spagna e l’inquinamento ambientale

Luisa Poluzzi

L’artista si esprime con mutazioni di linguaggio e materiali poveri quali la plastica e fa discutere e riflettere. Nel periodo 1980-1990 infatti Anna Spagna ha precorso i tempi e ha realizzato queste opere utilizzando ed evidenziando la plastica, lasciando l’interpretazione agli osservatori e dando uno spunto di riflessione. Chi si sofferma oggi a guardare queste creazioni è inevitabilmente portato a meditare sullo sfrenato e insensato consumismo che ci fa produrre tanti, troppi resti che soffocano il nostro bellissimo pianeta. Qui si possono vedere le foto mentre gli originali si trovano attualmente in vari musei che li hanno richiesti all’artista italiana.

RECENSIONI Luisa Poluzzi IMMAGINE DA INS
Arte Contemporanea Sfumata.png
Maria Tiziana Zanchi, Refolo Barocco, CASA 99 IDEE, 1996/7
Maria Tiziana Zanchi, L'angolo dell'ispirazione, CASA OGGI, Maggio-Giugno 1991

Anna Spagna

Al momento della sua prima uscita pubblica, il lavoro di Anna Spagna si presentava, nonostante la relativa semplicità dell'assunto base di quell'operazione, come un esperimento complesso che faceva dichiarare a Tommaso Trini: "Il ciclo iniziale dei Rifiuti solidi urbani tende a presentare il prelievo dei sacchi di plastica dell'orizzonte urbano postindustriale; evidenzia materiali, scritte e simboli in una constatazione letterale della realtà che fluisce neir arte. Il richiamo alle estetiche informali, pop e novo-realiste è più che larvato". Il che significa tuttavia ricorso a svariate tecniche, tipiche di quei movimenti e del periodo che hanno traversato, come il prelievo appunto, il collage, la manipolazione dei materiali attraverso l'uso di nuove tecnologie — in questo caso l'uso di spray e di materie plastificanti che la Spagna conosce bene anche attraverso la sua professione di restauratrice. Questo intervento che blocca una materia di per sé povera ed effimera come può essere un sacco di plastica, trasformandolo in qualcosa di simile alle "hautes-pates" dell'informale di Dubuffet (ad esempio), dandogli lo statuto visivo di una specie di bassorilievo, barocco pur nella sua stringente attualità, è significativo di una certa attitudine piena di rispetto verso l'arte — ed anche verso l'utopia dell'arte. Non a caso oggi, dopo una significativa (e relativamente lunga ) pausa di riflessione. Anna Spagna si ripresenta con un lavoro visivamente diverso dal primo, più pittorico, più calato nello specifico attraverso l'uso del segno e del colore. La pittrice stessa scrive della sua opera parlando di una "impronta spaziale proiettata all'infinito, e attraversata da una luce dorata che simbolizza l'utopia di una speranza cosmica". In realtà se i colpi di luce dorata che attraversano le tele della Spagna possono essere il contrassegno più vistoso della sua nuova "maniera", non è del tutto vero che il lavoro sulle materie e sulla pregnanza dei materiali sia passato veramente in secondo piano. A mio avviso, al di là del gioco dei segni zigzaganti che strutturano la superficie, tagliata come s'è detto da lame di luce dorata, quello che fa " tenere" queste superfici, quello che presta loro una impressionante compattezza, è proprio il gioco misterioso dei materiali che Anna usa, e che svelano la solidità della loro costruzione ad un'occhiata più approfondita. Tanto che la pittrice, quasi a richiamare la dimensione prepotentemente materica da cui proviene, scalfisse, in alcuni casi, graffia, materialmente, la pasta del colore, facendo affiorare altri segni oltre a quelli tracciati dal pennello. Quasi a ricordare appunto che questa pittura nata dalla materia, nella materia ritorna, al di là del segno, del colore e della luce che fanno brilla­re le superfici. Nel profondo, sotto la crosta della materia ( e ricordo qui che Croste dell'era cristiana era il titolo di una serie di opere del­la prima mostra) sembra dormire l'anima segreta dell'artista, che fa affiorare in barbagli d'oro e bargigli di segni i suoi sogni, ma trat­tiene ancora, al di sotto, un nucleo inespresso, un serbatoio generoso pronto ancora ad offrire lusinghe.

Adriano Antolini, aprile 1991

Adriano Antolini Percorsi luminosi n. 6,
Percorsi luminosi n. 6, cm 220 x 120, tecnica mista, 1990

Sulla pittura di Anna Spagna

L'oro. "Truovasi chi adopera in sue storie oro, che stima porga maestà". Così Leon Battista Alberti nel 'De pictura'. Nella pittura di A. Spagna splende l'oro, in forma attenuata, senza luccicanze, con un'opacità barbarica. È l'oro di Bisanzio, l'oro scurito dei mosaici mistici dove volte e cupole ricoperte d'oro awolgon di luce teste di santi e di vergini, o segnano la regalità corrotta degli imperatori Giustiniano e Teodora, spostandola verso il "sublime". La superficie aurea è il "modo simbolico" della sublimità splendore cosmico, regalità terrena. Gli spazi cosmici di A. Spagna sono apocalissi ocra-dorate di un senso contemporaneo del sacro, mistica della materialità luminosa. Aria e materia si articolano in corrisponde nze misteriose, si fanno "figure" di un corpo rare­fatto, spaziale, traversato dalla luce come metafora. Le terre. Il "bassorilievo". L'altro polo di opposizione è la terrestrità. È l'uso delle terre opache di tecnologie chimiche mixate con sapienza, è il corpo materiale delle plastiche panneggiate in bassorilievi straordinari. Qualcosa si proietta all'esterno, si concretizza la potenza di quei "razzi estrìnseci" di cui dice l'Alberti. Un eccesso di superficie si ripiega, marca la ricerca di un fronte plastico, dove lo sguardo trova un punto di autorità e di verità. È un uso erotico del panneggio come nel Bernini barocco. Qualcosa "si mostra", non come nocciolo, ma come rivestimento, copertura involucro. Erotica della massa, ed erotica della superficie. L'oggetto-quadro subisce una strategia formale che lo rende "seduttore", nel suo modo di esporre un "abisso superficiale". L'idea di 'veste', nell'ebraismo, assume un significato metafisico, incrociandosi col nome "kabod", la magnificenza, l'onore. È l'etica grave del bassorilievo romano, la veste magnifica della "dignità". Codici plastici, codici terrestri, codici aurei, intersecati e intrecciati nel "bleu du del" (Bataille), nelle "catastrofi" delle grinze, delle pieghe. Funzioni linguistiche di una continua e complessa "implicatura". Spoglie, simulacri, forme "superficiali" della visibilità paradossalmente sostenute da una quota straordinaria di densità materica. "Qualità malinconica e ardente", ci dice Baudelaire a proposito di ciò che chiama "Surnaturalisme" in pittura, spirito "magico" di combinazione e di decoro, dove la forma "si rive­ste d'intensità e il suo splendore è privilegiato".

Maria Valeria Medda, aprile 1991

Aprile 1991 Maria Valeria Medda.jpg

Anna Spagna - Il raggio di luce: dal nascosto al rivelato, lo stupore.

Il raggio di luce offre nelle diverse epoche artistiche uno stile di seduzione, un modo di dire, di rivelare allo sguardo del fruitore. Spesso è un segno annunciante, come nell'iconografia sacra medievale, o suggerisce, "facendosi corpo", concretandosi in materia, una strada; si pensi all'Origine della Via Lattea di Rubens. È il segno che chiama con forza l'osservatore: "I segni sono in primo luogo mezzi, il cui specifico carattere di mezzo consiste nell'indicare. (...) L'indicare può essere inteso come una specie del rimandare. Il rimandare, estremamente formalizzato, è un porre in relazione". (M. Heidegger - Essere e Tempo) Il raggio di luce, che sfreccia deciso e coraggioso, indica, rimanda, suggerisce relazione all'altro.jQuesto è un aspetto prezioso del lavoro di Anna Spagna. Non è un'operazione chiusa, a spirale, di ripiegamento narcisistico, bensì un attraversamento, una linea obliqua che frange spessori materici; mira all'occhio, dunque al pensiero dell'osservatore, domandando appartenenza. Si tratta di un "Effetto pacificante della pittura. È dato qualcosa non tanto allo sguardo quanto all'occhio, qualcosa che comporta abbandono, deposito dello sguardo". (Lacan - Il Seminario XI ) L'autrice propone di accettare l'abbandono, di non capire subito, di accogliere una iniziale sospensione temporale che approdi all'illuminazione: ciò è lo stupore. È un sentimento che attraversa l'opera, autentica giuntura fra l'artista e l'altro. Filo sottile che unisce e consente l'offerta dell'inconscio, verità del soggetto. Lo stupore accoglie in sé aspetti antitetici, indicanti proprio due momenti, la fissità, una sorta di pietrificazione e V illuminazione, l'attimo del comprendere, cioè la rivelazione. Lo stupore è una specie di stordimento. Inizialmente il raggio di luce abbaglia, lascia "muti di idee"; non solo causa queste sensazioni nell'osservatore, ma è, si fa stupore: c'è un esserci nel fare. Pare un inganno perché la linea è lì, sola, non ha una figura dalla quale originarsi o un luogo d'approdo. Ha una sua astrattezza. È il momento del dubbio, ecco perché l'inconscio enigmatico si mostra ma ancora non si rivela; appare l'immobilità, sebbene la linea indichi il movimento. Ecco, interessante è l'attimo di passaggio dall'incomprensione, ovvero il nascosto, alla rivelazione. Si presenta un incantesimo, inizialmente un destino ipnotico, ma subito è declinata la comprensione, l'illuminazione, atto di giudizio. Allora il raggio di luce ha vita, movimento. Per l'artista questo segno è rivelatore dell'affetto, appunto dello stupore, di un frammento dell'inconscio, unico trasmissibile a chi dell'arte desideri farne qualcosa, non sfuggire a se stesso.

Mariapia Bobbioni, aprile 1991

MariaPia Bobbioni Percorsi luminosi n. V
Percorsi luminosi n. V, cm 220 x 80, tecnica mista, 1990

Anna Spagna Le accese tracce

Da qualche anno, da quando nella sua ultima mostra Anna Spagna aveva realizzato lavori che la fecero notare alla critica tutta, per uno scandaglio di materiali assunti dall'uso quotidiano, da allora si diceva il suo percorso è maturato, passando dalle forme al segno, e liberando il colore come racchiuso in un'anima interna che illumina e trafigge. La posizione di avanguardia ha voluto liturgicamente confrontarsi con il segno, imperioso richiamo che attira l'uomo sin dai primordi della storia e che ha trovato nel tempo modelli e interpreti singolari. Anche, la Spagna è voluta tornare alla terra, al richiamo della materia e del cielo stellato che ci incombe, espressivamente lirico e libero. Il segno cresce in diago­nale e in verticale, creando stilemi, alfabeti in coppie continue, combacianti e opposti, smozzicati o dipinti come figure imprecise, trasposizioni da geroglifici riassuntivi. Ma il dato della Spagna non è solo legato al segno che rivela i problemi di una interiorità, testi­mone del suo tempo, in misura piena, la sua pittura è sorta da una spinta coercitiva della propria, attiva sensibilità, e senz'altro da quel continuum di sperimentazione che il vero artista sviluppa in una certa età del proprio viaggio nella vita. L'importanza quindi di recuperare il meglio di sé, attraverso il manifestarsi di codesti emblemi, l'idea di una realtà il cui malessere è proprio nei suoi segni, associati a una morfologia dell'immagine che risponde a un'imprescindibilità psicoanalitica. L'arabesco del colore che si irradia dai segni, color giallooro, ritrova la luce della sua prima favola scritta e dipinta. Con profondità e plasticità di effetti, per propizia occasione di un gusto che sceglie l'epigramma romantico, dipinto, segnale, traccia, piuttosto che il tumulto di una violenza espressa in estrema sintesi sfuggente. La "texture" rappresentativa di Anna Spagna che nel segno e nella materia si accerta per le sue qualità concrete e narrative, fa gioco di corpus lirico, è ritorno di primitivo alfabetiz­zato, materia esasperata di un procedimento a spatola che s'allarga di luce oltre i segni. Il procedimento è laico, decoroso, e tutto il progetto pittorico è intriso di intelligente armonia, automitografica, si identifica in aliquota di equilibrio radiale nel sogno delle stagioni che illuminano le superfici di scatto, come un giardino di colorazione ineffabile.

Carlo Franza, marzo 1991

Carlo Franza Marzo 1991.jpg
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